Rappresentazioni dell’Apocalisse

L’Apocalisse, è una delle rappresentazioni artistiche più presenti nelle cattedrali gotiche, è il giudizio di Dio sugli uomini. Il timore di finire all’inferno è il più forte per condurre una vita in pace nel rispetto degli altri uomini.

Nel XIII secolo il pensiero del giudizio supremo è presente in tutti i cuori. Cercare d’indovinarne la data è considerata una forma d’empietà, poiché il Signore aveva detto: «Non conoscete né il giorno né l’ora».

Tuttavia, si è inclini a prestar fede alle profezie che si rincorrevano. L’abate Gioacchino, a cui Dante attribuisce un genio profetico, aveva affermato nel suo Commentario su Geremia che la fine del mondo sarebbe venuta dopo il 1200; la veggente santa Hildegarda aveva annunciato che dopo il 1180 il giudizio universale sarebbe presto giunto. Mezzo secolo dopo, tali predizioni facevano ancora paura a Vincenzo di Beauvais.
Diversi segni potevano preannunciare la fine dei tempi: il dilagare del crimine, il propagarsi delle eresie, la diffusione della scienza. I mistici del XIII secolo, che giudicano con severità il loro tempo, più di una volta ipotizzano che «il giorno della collera» stia finalmente per giungere.
I Giudizi universali scolpiti nel portale delle cattedrali sconvolsero gli animi più profondamente di quanto possiamo oggi immaginare. Il fedele, passando sotto al portico, guardava gli angeli che suonavano la tromba sopra alla sua testa e pensava che li avrebbe potuti udire anche l’indomani.

Iconografia gotica rappresentazione dell'apocalisse

Prime rappresentazioni dell’Apocalisse

Nasce l’idea di rappresentare visivamente qualche terribile pagina dell’Apocalisse. Inizialmente si preferisce raffigurare la visione dell’evangelista Giovanni dove Dio, irraggiante un chiarore accecante, assiste all’apertura dei sigilli e ai prodigi che preannunciano la fine dei tempi. Dio è simile a una pietra di diaspro o di sardonica. L’arcobaleno gira intorno al suo trono, come una visione verde smeraldo, e intorno al trono ci sono ventiquattro seggi, e su questi seggi ventiquattro vegliardi, vestiti di bianco che recano sulla testa corone d’oro. Dal trono partono lampi, voci e tuoni, e sette lampade ardenti, che sono i sette spìritì di Dio, vi ardono davanti.

E’ in questa forma che l’arte del Medioevo rappresenta, all’inizio, il Dio terribile dell’ultimo giorno. Ma a partire dal XII secolo prende piede una nuova concezione della scena. Appaiono magnifiche composizioni che si ispirano al Vangelo di san Matteo.

L’Apocalisse della vetrata di Bourges

Ma nel XIII secolo l’Apocalisse ispira un’opera strana ed isolata che non si ricollega alla tradizione: la vetrata di Bourges infatti non è un’illustrazione, ma un commento all’Apocalisse. Il teologo che ha concepito lo schema si è sforzato di rendere plasticamente la dottrina degli interpreti di san Giovanni. L’istituzione della Chiesa, la presenza reale di Gesù Cristo nella Chiesa di cui è l’anima, e infine l’eternità gloriosa riservata alla Chiesa quando il tempo sarà compiuto; queste sono le verità che l’artista insegna.

Nella parte bassa della vetrata Gesù, raffigurato come lo vide san Giovanni, con la spada nella bocca e il libro dei sette sigilli in mano, ha davanti a sé san Pietro che battezza la folla. E la traduzione simbolica del passo dell’Apocalisse: «Aveva davanti a lui un mare di vetro simile al cristallo». Per mare di vetro, infatti, tutti gli interpreti medievali dell’Apocalisse intendono il battesimo. Scrive Anselmo di Laon: “come il cristallo è dell’acqua indurita, così il battesimo trasforma gli uomini fluttuanti e senza consistenza in cristiani resistenti e solidi”. La prima visione si riferisce quindi all’istituzione del battesimo o, se vogliamo, della Chiesa.
In alto la vetrata ci mostra Cristo in gloria e circondato da dodici personaggi dell’Antico Testamento, fra i quali riconosciamo Mosè, e dai dodici apostoli del Nuovo. I dottori, infatti, interpretavano in questo modo la visione dell’Apocalisse, nella quale Dio viene mostrato assiso sul trono e circondato da ventiquattro vegliardi. Secondo loro, i ventiquattro vegliardi sono i dodici apostoli accompagnati da dodici eroi dell’Antica Legge. Per eliminare qualsiasi sfaccettatura di mistero al testo di san Giovanni, l’artista è giunto a sostituire le quattro bestie simboliche con i quattro evangelisti. In tal modo, il Gesù assiso in mezzo agli apostoli, ai profeti e agli evangelisti, è un Gesù assiso nel centro della sua Chiesa, sempre presente in mezzo ad essa, come aveva preannunciato.

Nel terzo scomparto della vetrata Gesù e l’agnello portano la croce del trionfo; san Pietro parla alla folla, mentre due uomini succhiano alle mammelle della Chiesa, rappresentata da una regina incoronata. Anche qui ritroviamo l’interpretazione data dai dottori delle ultime visioni dell’Apocalisse. San Pietro è la Chiesa militante: egli convoca i fedeli alle nozze fra la Chiesa trionfante e l’Agnello. La Chiesa infatti che ha nutrito gli uomini con il latte dei due Testamenti, entrerà, quando i tempi saranno maturi, nell’eternità gloriosa e si unirà a Dio. Sette stelle e sette nuvole, che rappresentano la durata del tempo (che successivamente sarà abolita) dominano la composizione.
Questo è il grande complesso teologico, l’opera più sottile e profonda che l’Apocalisse abbia ispirato all’arte del Medioevo, opera squisitamente dottrinale, totalmente libera da tipologie tradizionali.

L’opera di Bourges rimane isolata nel XIII secolo: gli artisti dell’epoca preferiscono ricorrere alla descrizione della fine del mondo di san Matteo. Il testo dell’evangelista è senza dubbio meno folgorante, ma riesce più accessibile alla rappresentazione artistica. In Matteo, Dio non è più quell’enorme pietra preziosa, di cui non è possibile sostenere lo splendore: egli è il Figlio dell’Uomo, e siede sul suo trono come se fosse su questa terra; e i popoli ne riconoscono le sembianze.
Un capitolo di san Paolo, nella prima Epistola ai Corinti sulla resurrezione dei morti, aggiunge altre sfaccettature all’insieme, e l’Apocalisse fornisce anche uno o due particolari secondari.
Questi diversi passaggi, interpretati dai teologi e arricchiti della fantasia popolare, danno vita alle belle scene del Giudizio Universale che ornano quasi tutte le cattedrali del XIII secolo.

Iconografia gotica rappresentazione dell'apocalisse, vetrate di Brouges

Il Giudizio secondo Matteo

In Francia, a partire dal XII secolo, i due modi di rappresentare il Giudizio Universale (secondo l’Apocalisse e secondo san Matteo) coesistono.

A Saint-Trophime di Arles, addirittura, si sommano: il timpano ci mostra ancora il re tradizionale, fiancheggiato dai quattro animali, descritto nell’Apocalisse, ma già i bassorilievi del fregio ci mostrano la separazione fra i buoni e i malvagi, conforme al Vangelo di san Matteo.

E’ la grande scuola di scultura del sud-ovest che, nella prima parte del XII secolo, elabora la nuova impostazione del Giudizio Universale. Essa compare nei vecchi capitelli del chiostro della Daurade, conservati al Museo di Tolosa.

La ritroviamo in tutta la grandiosità della scultura monumentale nel portale di Beaulieu, nella Corrèze, e subito dopo, arricchita di nuovi particolari, nel portale di Conques nell’Aveyron. Qui vediamo raggruppate alcune scene il cui accostamento costituirà d’ora in avanti il Giudizio Universale: Gesù che mostra le sue piaghe, gli angeli che recano gli strumenti della Passione, pesano le anime, separano i buoni dai malvagi, il paradiso, l’inferno.

Iconografia gotica, il giudizio dell'apocalisse

Il giudizio dell’apocalisse

Iconografia gotica, apocalisse i buoni

I graziati nel giudizio dell’apocalisse

I dannati nell'apocalisse

i dannati dell’apocalisse

Rappresentazioni dell’Apocalisse ultima modifica: 2017-01-12T16:20:13+01:00 da Stefano Torselli

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