Frankenstein di Mary Shelley

“L’angelo caduto diviene un demonio malvagio. Tuttavia, persino quel nemico di Dio e dell’uomo ha amici e compagni nella sua desolazione. Io sono solo.”

La creatura

 

Genesi di un capolavoro

Mary Shelley“Frankenstein: o il moderno Prometeo” fu pubblicato per la prima volta a Londra in tre volumi nel 1818, con una prefazione del poeta Percy Bysshe Shelley marito dell’autrice.
Seguì una seconda edizione in due volumi del 1823 curata dal padre di Mary, lo scrittore William Godwin mentre la terza edizione del 1831, con il testo completamente riveduto, è quella su cui si basano tutte le edizioni successive.
Per anni l’opera di Mary Shelley fu condizionata da un forte pregiudizio anti-femminista: “Frankeisten è meraviglioso, considerato che è scritto da una donna”, dichiarò il Blackwood’s Magazine all’epoca della pubblicazione. Va detto inoltre che tale giudizio fu espresso da un recensore che riteneva il libro opera di Percy Bysshe Shelley. Furono comunque in tanti a credere che il romanzo fosse stato ispirato dal genio dei due uomini (padre e marito) della vita di Mary e dall’ambiente culturalmente privilegiato che la scrittrice ebbe la fortuna di frequentare. Il grande ideale umano di poter trasformare il mondo o addirittura di crearlo fu certamente oggetto di discussione nell’ambiente intellettuale cui appartenevano Godwin e Shelley ma dalla scrittrice apprendiamo che la sua creatività fu mortificata piuttosto che alimentata dal rapporto con il padre e con il marito: trascurò il proprio lavoro letterario per dedicarsi alla cura delle opere di Percy.

Fonti di ispirazione

Dal diario di Polidori sappiamo come il gruppo riunito a Villa Diodati, composto da lui stesso, da Byron, da Shelley, da Mary e da Jane Clairmont (sorellastra di Mary e amante di Byron), discutesse nel giugno del 1816 di vari principi, se l’uomo dovesse essere considerato soltanto uno strumento e quale fosse la fonte principale della vita.
Polidori riferisce inoltre della lettura ad alta voce di una serie di storie di fantasmi tradotte dal tedesco in francese, “Fantasmagoriana, ou Recueils d’histoire d’apparitions de spectres, etc” e del suggerimento di Byron di scrivere ciascuno una storia di fantasmi.
“Frankenstein” nacque dunque in seguito ad una gara: Polidori scrisse un lungo racconto,  “Il Vampiro”, Shelley e Byron due storie di fantasmi e Mary il suo capolavoro, “Frankenstein o il moderno Prometeo”.

L’idea per il soggetto del  libro nacque, come la stessa autrice dichiarò, in seguito ad un incubo:
Vedevo, ad occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta, il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla cosa che aveva messo insieme.
Vedevo l’orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all’entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale.
Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo”.

Ma le fonti di ispirazione per la nascita di “Frankenstein” furono ben altre:
per la genesi del romanzo rilevanti furono gli esperimenti sulla generalità spontanea e gli “Elements of Chemical Philosophy” di Davy, amico di Godwin, attraverso il quale Mary sembra aver conosciuto l’opera di Condillac “Treatise on Sensations” e la sua “statua animata”, probabilmente suggerita dalla “Lettre sur le sourds et muets” di Diderot. Va inoltre ricordato che il padre della Shelley nel 1799, scrisse il primo romanzo inglese in cui compaia l’elisir della vita derivato dalle teorie rosicruciane, “St. Leon”, e infatti uno dei temi base del romanzo è proprio la sopravvivenza alla morte.
Accanto a tali riferimenti non possono essere ignorati gli esperimenti di Erasmus Darwin che si rifacevano alle famose “rane di Galvani”. La maggiore fonte di ispirazione per la scrittrice fu l’esperimento di Jacques Vaucanson volto alla creazione di un uomo artificiale che, su modello degli automi, già da lui prodotti e presentati a Londra nel 1742, “imitasse” quei processi che contraddistinguono gli esseri viventi e cioè la circolazione del sangue, la respirazione, la digestione, i movimenti dei muscoli e dei nervi.

Frankenstein, illustrazione originale

Frankenstein, illustrazione originale di Theodor von Holst

Il vero dottor Frankenstein

Il “Dottor Frankenstein” è realmente esistito nella figura quasi leggendaria del medico e alchimista Konrad Dippel. Costui nacque nel 1673 a Darmstadt nel castello dell’antica famiglia Von Frankenstein e dedicò la sua esistenza alla ricerca dell’elisir di lunga vita; raccoglieva ossa e corpi nei cimiteri ,proprio come il protagonista del romanzo, e nel suo laboratorio cercava di “dar vita” ad un essere mostruoso. Morì nel 1734 in circostanze poco chiare, forse per avere ingerito del veleno.
La Shelley era sicuramente a conoscenza di questa storia attraverso i fratelli Grimm,  intimi amici della sua matrigna, Mary Jane Clairmont. In una lettera, a lei inviata, essi fanno cenno a questa vicenda che probabilmente appresero in una di quelle “interviste” fatte per raccogliere antiche storie e leggende, immortalate nella celebre raccolta di fiabe.

Laboratorio del dr. Frankenstein

illustrazione di uno studio anatomico del diciottesimo secolo in operò il vero dr. Frankenstein

Richiami letterari

Tra i richiami letterari va citato sicuramente il “Paradiso Perduto” di Milton, nominato dalla stessa autrice nella prefazione del romanzo, per il suo contributo a una nuova combinazione dei principi elementari dell’umana natura:

Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla
di crearmi uomo, ti chiesi io,
dall’oscurità di promuovermi…?

Ma la Shelley attinse soprattutto, per ulteriori elementi riguardo alla creazione, alla leggenda di Prometeo, tratta da Ovidio. Prometeo, l’archetipo del ricercatore della saggezza proibita, incorse nella sua ricerca in una terribile ed eterna punizione.
Nel romanzo, alla figura di Prometeo come demiurgo, si connette quella della creatura in rivolta contro l’oppressione divina, con una conseguente implicita negazione dell’esistenza di un dio benevolo.

Il mito

Frankenstein di Theodor HolstCon il suo romanzo, scritto all’età di 21 anni, Mary Shelley creò un mito che continua ancora oggi: non c’è altra opera della tradizione gotica che sia penetrata così profondamente nell’immaginario collettivo.
Considerato il primo racconto di fantascienza, il romanzo rientra nella narrativa gotica iniziata da Walpole ma in esso non c’è traccia di fanciulle perseguitate e malvagi persecutori né l’incombente presenza del castello; il libro è bensì carico di sentimento, passione, ansia di liberazione, energia incontenibile, mistero, tanto più prepotenti quanto più repressi e ignorati.

Trama del romanzo

Il titolo del romanzo prende il nome dal protagonista, il dottor Victor Frankenstein, che in seguito alla morte dell’amatissima madre decide di scoprire il modo di sopravvivere alla morte. Egli aspira alla creazione di un essere vivente e per realizzare il suo sogno, che a poco a poco diverrà un’ossessione, si allontana dai luoghi aperti della vita per chiudersi nel suo laboratorio. Innamorato della bella cugina Elisabeth, che lo ricambia, rinvia le nozze per creare da solo una nuova vita anziché procreare secondo natura. Pezzo per pezzo costruisce una creatura con parti di vari cadaveri tratti dai cimiteri, dagli obitori e dalle sale di dissezione riuscendo ad animarla con la scarica elettrica di un fulmine.

La creatura di aspetto orribile è nata innocente, una tabula rasa priva di anima; la sua “nascita” è un atto di gelida razionalità in cui non vengono implicati sentimenti, emozioni, immaginazione; il mostro non è altro che è una somma di tendini, nervi, muscoli, un insieme di organi che funzionano secondo una meccanica impeccabile, un oggetto che lo scienziato ha prodotto ignorando il mistero della vita.
Ma proprio quella parte non prevedibile, costituita da pulsioni, istinti e sentimenti, diverrà nella creatura una forza dirompente. Il Mostro cercherà di rivendicare i suoi diritti ma non potendo appagare le sue passioni perché tutti lo evitano, a causa del suo spaventoso aspetto, commetterà tutto il male possibile uccidendo varie persone e infine anche il suo creatore. Il libro si chiude con il ritorno del Mostro all’energia naturale cui appartiene: egli scompare nei flutti del mare prima di raggiungere il luogo dove si immolerà su una pira.

Il valore del romanzo è fortemente simbolico: esso rappresenta la ricerca della conoscenza e il conflitto tra l’uomo e la natura. Una metafora del tormentoso problema della genesi di ogni opera d’arte, della sua vitalità e del suo rapporto con il creatore.
La figura del dottor Frankenstein è quella del ricercatore di una conoscenza proibita  che sfida Dio e che nel sostituirsi a lui può generare solo una forza diabolica e distruttiva: la nascita della sua creatura è innaturale dunque è destinata ad avere tragiche conseguenze. Diverrà quindi vittima dell’essere che ha generato contro natura, con i mezzi della scienza umana, e che lo colpirà negli affetti più profondi: il mostro infatti gli ucciderà il fratello, l’amico e infine la donna amata, vietandogli così definitivamente una paternità naturale. Egli è legato alla sua creatura da una tragica inscindibilità: dal momento della creazione tutta la vita di Frankenstein è condizionata dal mostro così come il mostro dipende da lui, in un gioco alterno di inseguimento e fuga, di avanzamento e di ritirata in cui finisce per esaurirsi tutta la loro esistenza fino alla distruzione finale.

Il moderno Prometeo

Frankenstein, al pari di Prometeo e di Faust, si è ribellato a Dio e alla natura, così il mostro si ribella a lui, un padre crudele che dopo averlo “creato” gli nega una vita normale. Al mostro non viene dato neppure un nome come supremo affronto da parte del suo creatore che gli nega addirittura un’identità e una compagna nel tentativo inconscio di non farlo esistere; ma il mostro non ha un nome anche perché egli è sempre presente nel dottor Frankenstein, una sorta di emanazione del suo senso di colpa, quasi il suo “doppio” originato da quella parte di sé correlata al suo blasfemo orgoglio. Nel romanzo il dottore stesso dice: “ considerai l’essere che avevo gettato tra l’umanità quasi come il mio stesso vampiro, il mio stesso spirito lasciato uscire dalla tomba e costretto a distruggere tutto ciò che mi era caro.”
Il motivo del “doppio” è condiviso da molti critici ed rivelato dall’errore comune di chiamare il mostro con il nome del suo creatore: Frankenstein.

Frankenstein di Mary Shelley ultima modifica: 2017-01-11T17:14:16+01:00 da Stefano Torselli

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