In età vittoriana la popolazione dell’Inghilterra crebbe sensibilmente a causa di condizioni di vita migliorate, che limitarono la mortalità infantile, e di una massiccia ondata di immigrazione, soprattutto dall’ Irlanda, all’epoca poverissima. La popolazione si concentrava prevalentemente nelle città dove, grazie ad un grande impulso dell’ industria, era più facile trovare lavoro e fonti di sostentamento. Questa urbanizzazione delle masse portò una profonda trasformazione nella società vittoriana.

L’enorme offerta di manodopera causò un abbassamento dei salari e l’affermazione di lavori stagionali o saltuari, che difficilmente potevano mantenere le numerose famiglie della classe operaia. Anche i bambini contribuivano al menage familiare lavorando quasi sempre in condizioni di sicurezza e sanitarie pessime, per moltissime ore e per una paga misera. Venivano impiegati per lo più come spazzacamini sui tetti o nelle miniera di carbone, poiché potevano passare in cunicoli troppo stretti per gli adulti. Era facile vederli per strada come lustrascarpe, garzoni o netturbini.

La grande richiesta di alloggi in città fece crescere a dismisura i prezzi degli affitti e le famiglie più indigenti non potevano far altro che consorziarsi e sovraffollare case popolari già minuscole e fatiscenti. Questi condomini, detti “slums”, in cui la gente viveva fino a 30 per stanza in condizioni igieniche e di sicurezza precarie, distrutti in continuazione da incendi e crolli dovuti alla mancata manutenzione, erano a pochi passi dai quartieri alti caratterizzati dalle tipiche residenze in stile eduardiano, creando un forte contrasto emblematico dell’età vittoriana. La società vittoriana si caratterizza per diseguaglianze e sperequazioni: l’estrema indigenza viveva a stretto contatto con l’agiatezza dei ceti medio alti, che non mancavano di ostentare disprezzo e allo stesso tempo misericordiosa commiserazione per quei “poveri sventurati”.

Beneficenza, carità e condanna morale nella società vittoriana

L’età vittoriana è anche il momento in cui si afferma la beneficenza e l’opera caritatevole come  comportamento “conveniente” e socialmente apprezzato per le signore dell’alta società, che organizzano the e spettacoli benefici per enti e orafonotrofi, ma nasce anche un movimento spontaneo e genuino di solidarietà con le classi più povere da parte delle donne del ceto medio, che scendono nelle strade per portare soccorso soprattutto ai bambini.

La povertà estrema aveva incentivato gli abbandoni e per le strade di Londra, da un rilevamento del 1848, si aggiravano più di 30 000 bambini nudi, denutriti e malati, che vivevano di elemosina o di furti. Mangiavano dall’immondizia e bevevano l’acqua di scolo delle fogne a cielo aperto degli slums, contraendo quasi sempre il colera ed altre malattie diffusissime nei bassifondi .

Ma l’accostarsi alla povertà non era mai privo di un giudizio morale schiacciante da parte di chi, per merito o per fortuna, si trovava dalla parte comoda e sicura di chi porta aiuto: “ i poveri sono degli esseri imprevidenti, che hanno sprecato il loro denaro nei vizi”, “ Dio ha collocato ognuno in una posizione che non và turbata, perchè la vita più importante è quella oltre la morte” sono
alcuni pensieri di note filantrope dell’epoca. In sostanza la “beneficenza” vittoriana, anche quando è gratuita e sincera, è sempre paternalista, venendo in soccorso di soggetti geneticamente incapaci di gestire le loro vite in modo retto e morale. E’ quindi un preciso dovere di chi è stato predestinato ad essere un paradigma di rigore e sapienza, prendere le redini delle misere esistenze di questi “rifiuti ” della società vittoriana.

 

Rieducazione e ospizi per poveri in età vittoriana

Con questa filosofia nascono le “poorhouse”, ospizi  finanziati dalla corona in cui i poveri  e i soggetti più disagiati della società vittoriana potevano trovare assistenza, alloggio e lavoro. Come descrive Charles Dickens, nelle poorhouse vige una disciplina severissima, orari di lavoro massacranti e punizioni corporali. Le famiglie vengono divise: i bambini, gli infermi e gli anziani, gli uomini e le donne abili risiedono in 4 edifici distinti e separati per disincentivare distrazioni e immoralità. All’ammissione, gli indigenti venivano lavati e rasati; poi gli veniva fatta indossare l’uniforme dell’istituto, che per molti sarebbe stato l’ultimo abito  della loro vita. I pasti, scarsi e non nutrienti, prevedevano per le donne la metà della già magra razione degli uomini e dovevano essere consumati nel più assoluto silenzio; gli alloggi per pernottare erano  sporchi e sovraffollati: potevano dormirvi sino a 7 persone per posto letto.

Nonostante gli scandali che colpirono numerose poorhouses di Londra, come quello denunciato dal Times nel 1850 di una donna incinta lasciata morire di fame e di fatica sulle scale del ricovero Southempton, gli istituti nati con la poor Law della regina Vittoria erano considerati il miglior mezzo per sottrarre le famiglie alla disonorevole condizione della povertà e la  disumana rigidità che vi vigeva era l’unico modo per “raddrizzare” le loro cattive abitudini e la loro naturale tendenza allo sperpero e alla mancanza di disciplina.

Il lato oscuro del vittoriano – Povertà e degrado nella società vittoriana ultima modifica: 2017-01-11T10:45:22+01:00 da Stefano Torselli