Il Vij di Nicolas Vasil Evic Gogol, leggiamo insieme l’incipit del romanzo:
A Kiev, non appena al mattino rintoccava la campana, — piuttosto sonora — del Seminario, appesa sul portone d’ingresso del Monastero dei Confratelli, da tutte le parti della città accorrevano in frotta seminaristi e scolari. Grammatici retori, filosofi e teologi, coi quaderni sotto l’ascella, entravano nelle aule a passo lento.
I retori camminavano con maggiore contegno; i loro vestiti erano spesso assolutamente intatti; in compenso, avevano quasi sempre sulla faccia qualche abbellimento a guisa di tropo retorico: o un occhio era sfuggito loro fin sotto la fronte o al posto delle labbra, avevano un intera vescica, oppure un contrassegno di altra sorta; costoro parlavano e sacramentavano, con voce di tenore.
I filosofi erano intonati un ottava sotto nelle loro tasche, fuor che gagliardo tabacco, non v’era nulla. Non facevano provviste di sorta: divoravano seduta stante tutto quel che trovavano. Mandavano sentore di pipa e di zozza; a volte a tale distanza che, se un artigiano passava nei paraggi, si arrestava, e rimaneva a lungo a fiutare l’aria come un cane da caccia. A quell’ora, di solito, il mercato cominciava appena.ad animarsi e le venditrici di ciambelline, panini, semi di zucca e pan di papavero facevano a gara a tirare per le falde quelli che avevano le falde di panno fino o di cotonina.
« Signorini, signorini! Di qua, di qua!», dicevano da ogni parte: «Ecco qua ciambelline, pan di papavero, treccine, panini buoni! Buoni, proprio buoni!
Al miele io stessa li ho cotti!»
Un altra, brandendo un certo affare lungo, bitorzoluto, di pasta, strillava «Eccolo il succerellone! Comprate1o il succerellone, signorini! Non comprate nulla da quella guardatela lì quant’è sporca, ha il naso che le cola e le mani lerce»
Ma a tirar per la falde teologi e filosofi, non si azzardavano; ché filosofi e teologi amavano prender le cose soltanto in assaggio, e per giunta a manciate.