Il Castello di Carini

Il Castello di Carini e il fantasma della baronessa.

Avvi una fortezza nuova, fabbricata sopra un colle che domina la terra. Il mare si apre a tramontana alla distanza di un miglio all’incirca.

Edrisi, geografo arabo alla corte di Ruggero il Normanno

la baronessa di CariniIn provincia di Palermo, alle falde del Monte Saraceno, si trova Carini, cittadina che vanta una storia antichissima. Il castello, una rocca con annesso il borgo fortificato, risale probabilmente al XII secolo, e fu fatto costruire dal primo feudatario normanno Rodolfo Bonello.

Nel 1403 re Martino il giovane lo concesse al consigliere catalano Ubertino la Grua la cui figlia Ilaria sposò Gilberto Talamanca: in questi anni il castello si trasformò da edificio militare normanno svevo in residenza di grandi feudatari mentre sotto la spinta di un’economia fiorente, dovuta all’imprenditoria baronale, la città si espanse oltre le mura del borgo medievale.

Il Castello di Carini è un esempio unico in Sicilia ma costante nella Francia del Medioevo, una superba fortezza piantata su un colle roccioso, a cavaliere, direbbe Manzoni, con doppia cinta muraria e rispettive porte ad arco ogivale, con torri, merli e pinnacoli; un tipico castello arabo/normanno, pauroso e sinistro; uno scalone  immette nella sala magna con soffitto ligneo scolpito e dipinto, una perfetta scenografia da tragedia shakespeariana, un mediterraneo castello di Danimarca o di Scozia.

Di notevole interesse sono la Cappella con un tabernacolo in legno risalente al XVII secolo e affreschi in Trompe-l’oeil, e il Salone delle Feste di gusto rinascimentale con un soffitto a cassettoni e un camino sormontato da uno stemma rappresentante una gru (lo stemma dei La Grua). Sempre al piano superiore troviamo una stanza in stile gotico-catalano.

Il castello fu teatro di una tragedia  tramandata nei secoli da una ballata popolare. Ma vediamo di far luce su questa storia che ha reso il maniero ancora più sinistro.

Castello di Carini

La Tragedia della Baronessa di Carini

Chi verso il 1500 si fosse dato a percorrere e osservar la Sicilia, sarebbe rimasto, a prima giunta, colpito da cert’aria di squallore e decadenza visibile: comunicazioni malagevoli e scarse per tutto, coltivazione ristretta in vicinanza de’ luoghi abitati; poscia, immensi poderi lasciati all’armento ed anche spesso al ginepro e al cardo.

Nelle terre feudali un castello con torri e con merli, d’ordinario su l’altura di un colle, che sovrasta pauroso e sinistro a poche case e miserabili tuguri all’intorno.

Era questa la Sicilia del Cinquecento, qui descritta da Isidoro La Lumia, una terra dominata dallo strapotere, dall’anarchia baronale, da feudatari sciacalli che ai nobili si sarebbero sostituiti nella ricchezza e nel potere.

Nella Sicilia vicereame di Spagna, in uno dei quei castelli “paurosi e sinistri”( il castello di Carini) si consumò una tragedia atroce di passione, di tradimento e di morte che rimase viva per secoli nella memoria del popolo.

Tra i vari personaggi della tragedia il vero protagonista è don Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, uomo potente, prepotente e violento, legato al potere del viceré Ferrante Gonzaga e all’imperatore Carlo V.

stanza del castello di Carini

Sposatosi con la ricca vedova Lucrezia Gaetani, il Lanza ebbe due figlie, Laura e Costanza. Appena adolescente la primogenita Laura venne data in sposa a don Vincenzo La Grua, barone di Carini. La ragazza entrò trionfalmente nella terra di Carini e prese possesso del castello. Ma qui, lontana dal fasto e dalle feste di Palermo, si annoiava anche perché il marito, impegnato nella caccia al falcone e nei traffici commerciali, era quasi sempre assente. Laura riprese quindi a frequentare la capitale e a partecipare alle magnifiche feste a corte che si svolgevano nei palazzi nobiliari.

Durante una delle feste galanti palermitane, nel palazzo della famiglia Barbagallo, ricchi banchieri di origine pisana, avvenne l’incontro fatale: Laura riuscì ad affascinare un rampollo dei Barbagallo, Ludovico, giovane e bello, e a sua volta ne rimase affascinata. Nacque tra i due l’amore e divampò la passione; un amore, quello di Laura e Ludovico, che rimanda agli amori, finiti tragicamente, di altre celebri coppie.

I Barbagallo erano imparentati con i La Grua e possedevano il feudo di Montelepre, confinante con quello di Carini. Queste due circostanze fecero sì che Ludovico potesse  frequentare il castello appartato di Carini, fuori dagli sguardi indiscreti dell’ambiente palermitano, ed incontrare Laura durante le assenze del marito.

Il loro amore durò diversi anni grazie all’aiuto di vassalli e fantesche; tuttavia neanche le alte mura del castello riuscirono a contenere lo scandalo. La leggenda narra che fu un frate che riferì al padre di Laura la tresca. Il terribile don Cesare Lanza partì nottetempo con la sua scorta di “bravi”, irruppe nel castello, sorprese gli amanti, trafisse col pugnale la figlia e fece uccidere Ludovico dai suoi sgherri.

Un delitto d’onore: un padre che uccide la figlia adultera per pulire con il sangue l’onore del casato.

Subito si mise in atto la menzogna; un cronista segnò la data in una laconica nota: “1563. Sabato a’ 4 di decembre successe il Caso della Signora di Carini”; il cappellano annota invece nel registro parrocchiale: “A dì 4 Dicembro 1563. Fu morta la spettabile Signora Donna Laura La Grua. Sepeliosi a la matrj ecclesia…Eodem. Fu morto Ludovico Vernagallo”.

Parafrasando la famosa frase del Manzoni: così andava spesso la giustizia nel secolo decimo sesto.

Sono questi gli unici documenti che il ricercatore Salomone Marino, nella sua annosa ricerca durata cinquant’anni, riuscì a reperire per riportare la storia alla sua verità, per toglierla alla menzogna e alla distorsione leggendaria. Nel 1963, nell’archivio di Stato di Palermo, fu ritrovato il documento che chiariva i fatti: Don Cesare Lanza fu processato per l’assassinio della figlia e la Sacra Cattolica Real Maestà accolse la difesa del padre assassino archiviando il caso e nascondendo ai più la verità per oltre 400 anni.

Alla povera Laura e al povero Ludovico rimaneva il canto e il pianto di uno dei testi più alti di poesia popolare: “La storia di la Barunissa di Carini”. Secondo Sciascia, il poeta che compose questi versi fu Antonio Veneziano, che fu imprigionato ad Algeri insieme a Cervantes.

“Comu si persi sta bella Signora!

Stidda lucenti, com’appi sta fini?

Povira barunissa di Carini!

O gran manu di Diu, ca tantu pisi,

cala, manu di Diu, fatti palisi!”

la tragedia donna lLaura

La mano insanguinata e il fantasma di donna Laura

la mano insanguinata nel castello di CariniLa stanza in cui avvenne il duplice delitto si trova nell’ala occidentale del maniero e, secondo la leggenda, su una parete della camera rimase l’impronta insanguinata di donna Laura; l’impronta apparirebbe ogni 4 dicembre, giorno in cui la baronessa fu assassinata.

Il suo fantasma, vestito in abiti rinascimentali, vagherebbe nel castello in cerca del padre.

Nel 1975 la storia della sventurata Laura La Grua divenne uno sceneggiato televisivo: “L’amaro caso della Baronessa di Carini”.

Il Castello di Carini ultima modifica: 2017-01-11T18:50:35+01:00 da Stefano Torselli

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